INTRODUZIONE AL LIBRO DI GIOBBE
Caratteristiche principali
Il libro di Giobbe si presenta come un’opera complessa. Inizia con un racconto in prosa, di tipo popolare: Giobbe, uomo giusto, viene colpito da tremende disgrazie. Egli non sa che Dio lo sta mettendo alla prova, tuttavia mantiene ferma la sua fede (capitoli 1-2).
Il grosso dell’opera, ben quaranta capitoli, è composto nello stile della poesia ebraica. Tre amici — Elifaz, Bildad e Sofar — vengono a consolare Giobbe. Sono dei sapienti e seguono idee tradizionali. Pensano, infatti, che la sofferenza è sempre la punizione di una colpa. Uno dopo l’altro pronunziano il loro discorso, seguito da un intervento di Giobbe. Ciò si ripete per tre volte (anche se il terzo ciclo resta incompleto o non ben definito per quanto riguarda l’intervento di Sofar). Giobbe sostiene di essere innocente e rifiuta di considerare le sue sofferenze una punizione, anzi desidera incontrarsi con Dio perché è certo che proprio Dio gli farà giustizia, lo riabiliterà e lo salverà (capitoli 3-27). Dopo un brano isolato che elogia la sapienza (capitolo 28), Giobbe ribadisce ancora una volta la sua posizione (capitoli 29-31). A questo punto, interviene un nuovo personaggio, Eliu. In quattro discorsi egli vuole dimostrare che la sofferenza aiuta l’uomo a prendere coscienza di sé, perché ha un valore educativo (capitoli 32-37). La domanda di Giobbe: se Dio è giusto, perché l’innocente soffre? è ancora senza risposta. Una soluzione al problema può venire soltanto dall’incontro diretto tra l’uomo Giobbe e Dio stesso. Ma Dio, invece di dare risposte, fa delle domande a Giobbe, il quale non sa come rispondere. Riconosce allora qual è stato il suo errore: avere preteso spiegazioni da Dio, senza conoscere quello che Dio veramente è. Perciò afferma: «Ti conoscevo solo per sentito dire, ora invece ti ho visto con i miei occhi» (42,5) (capitoli 38,1-42,6).
Il libro si conclude con un brano in prosa, che si riallaccia al racconto iniziale, e dà un carattere di lieto fine a un’opera che ha raggiunto il suo culmine nella constatazione che nessuna idea umana può spiegare il mistero di Dio (capitolo 42,7-17).
Autore e ambiente storico
Il libro ha una struttura complessa: ci sono parti in prosa e altre in poesia, modi diversi di dire e anche di riflettere sul problema del dolore. Tutto questo fa pensare che l’opera, così come l’abbiamo, sia stata composta in momenti diversi, e soprattutto che alla parte centrale del libro, scritta in forma poetica e dalla quale emergono concezioni diverse del problema del male, siano state aggiunte una introduzione e una conclusione in prosa (capitoli 1-2 e 42,7-71) nelle quali si ribadisce un’idea tradizionale della retribuzione divina: Dio ricompensa colui che soffre ingiustamente e nella prova gli è rimasto fedele.
Bisogna tuttavia riconoscere che questo libro è talmente complesso e profondo da rendere impossibile ogni tentativo di comprenderlo in modo unitario e coerente. Dal punto di vista della sua ambientazione storica, si può solo affermare che le obiezioni di Giobbe alla dottrina tradizionale sulla retribuzione delle buone e cattive azioni mediante benedizioni e castighi corrispondono probabilmente a idee e problemi diffusi soprattutto dopo la fine dell’esilio babilonese, avvenuta nel 538 a.C.
Il testo ebraico del libro di Giobbe presenta inoltre numerose difficoltà linguistiche e lessicali, dovute anche al fatto che utilizza molti termini rari o che addirittura compaiono solo qui in tutta la Bibbia ebraica. Ogni sua versione deve quindi ricorrere a congetture. Nelle note allegate alla traduzione che segue ci limitiamo a segnalare solo i casi più problematici, indicando, ove possibile, soluzioni alternative a quelle adottate.
Schema
— I personaggi e gli avvenimenti 1,1-2,13
— Dialogo tra Giobbe e i suoi amici 3,1-27,23
— La sapienza 28,1-28
— Altri discorsi di Giobbe 29,1-31,40
— I discorsi di Eliu 32,1-37,24
— Dialogo tra il Signore e Giobbe 38,1-42,6
— Conclusione 42,7-17