Lettere Paoline
Le lettere paoline nascono e si sviluppano in genere per il bisogno di completare la predicazione orale che Paolo aveva tenuto nelle varie comunità cristiane e come mezzo per risolvere interrogativi e illuminare situazioni nuove determinatesi in esse. Lo stile è immediato. Nella nostra Bibbia si presentano con quest'ordine: Romani; 1 e 2 Corinzi; Galati; Efesini; Filippesi; Colossesi; 1 e 2 Tessalonicesi; 1 e 2 Timoteo; Tito; Filemone. Dal punto di vista storico l'ordine è diverso. Nel corso del secondo viaggio missionario, intorno al 50 d.C., Paolo fonda la Chiesa di Tessalonica. La sua permanenza nella città è brevissima, a causa dell'ostilità dei giudei, così che la formazione dei cristiani rimane incompleta. La 1 Tessalonicesi, scritta da Corinto qualche tempo dopo, richiama l'esperienza della evangelizzazione e vuole chiarire alcuni punti dottrinali - in particolare quelli connessi alla condizione dei morti al momento della "parusìa", cioè dell'avvento del Cristo glorioso - o di comportamento. La 2 Tessalonicesi è più difficile a datarsi e c'è chi giunge a dubitare che possa essere attribuita a Paolo. La lettera si propone di tranquillizzare i cristiani sulla venuta gloriosa del Signore, considerata da loro come imminente (cf.
2 Ts 2), e a spingerli a vivere nell'operosità. Contro la pigrizia di alcuni, Paolo arriva a dire: "Chi non vuol lavorare neppure mangi"
(2 Ts 3,10). Le due lettere ai Corinzi sono scritte da Efeso negli anni 55-56 d.C. A Corinto Paolo è stato un anno e mezzo e vi ha fondato una comunità numerosa e vivace, composta in prevalenza di ex-pagani. Informato dei problemi che agitano la comunità, Paolo risponde con una prima lettera condannando le fazioni sorte tra i cristiani, legate ai vari predicatori (cf.
1 Cor 1,10-4,21); corregge vizi, tra cui un caso di incesto (cf.
1 Cor 5), e disordini, in specie nei comportamenti assembleari (cf.
1 Cor 7-14); chiarisce dubbi circa la risurrezione dei corpi (cf.
1 Cor 15). Dopo l'invio della prima lettera, scoppia a Corinto una crisi riguardo alla stessa autorità di Paolo. Nella seconda lettera a noi pervenuta, che sembra risultare dalla fusione di più testi inviati in tempi diversi, troviamo perciò una difesa della sua missione di apostolo attaccato da propagandisti giudeo-cristiani (cf.
2 Cor 10-13), la preparazione della sua prossima visita (cf.
2 Cor 1-7), indicazioni circa l'organizzazione di una colletta a favore delle comunità cristiane povere della Palestina come segno della comunione tra Chiese sorelle (cf.
2 Cor 8-9). La lettera ai Filippesi è inviata con molta probabilità da Efeso, sempre negli anni 55-56 d.C., in occasione di una prigionia di Paolo in quella città. I cristiani di Filippi avevano inviato all'apostolo aiuti materiali e questi li ringrazia e approfitta per informarli della sua situazione e del suo stato d'animo: "Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno"
(Fil 1,21). Li esorta pure all'unità nell'umiltà, con l'inno all'umiliazione-glorificazione di Cristo (cf.
Fil 2,5-11), e li mette in guardia contro agitatori giudeo-cristiani (cf.
Fil 3,1-4,2). In questo stesso periodo Paolo scrive la lettera ai Galati, che si può collocare intorno al 57 d.C., inviata da Efeso o dalla Macedonia. L'attacco dei giudeo-cristiani ha sconvolto le comunità di Galazia e Paolo interviene alla sua maniera, con passione e veemenza. Con passione difende la sua autorità di apostolo raccontando la sua vocazione e missione (cf.
Gal 1-2); con veemenza dimostra la sua tesi di fondo, che è anche il "suo" vangelo: si è salvi solo in forza dell'adesione incondizionata, cioè della fede in Cristo, e non per la pratica delle opere della legge giudaica (cf.
Gal 3-4). Il cristiano è chiamato alla vera libertà, con la quale la fede è resa attiva e operante nella carità (cf.
Gal 5-6). La più estesa tra le lettere paoline è quella ai Romani, che è anche la più importante per comprendere il pensiero di Paolo sulla giustificazione del peccatore ad opera di Dio, mediante la redenzione di Cristo e il dono dello Spirito. È questo anche lo scritto che approfondisce rapporti e differenze tra ebraismo e cristianesimo; nello stesso tempo chiarisce come ogni differenza religiosa, razziale, sessuale, ecc. sia superata nella fede in Cristo. La comunità di Roma non è stata fondata da Paolo, tuttavia egli pensa di recarvisi per completare la sua missione di apostolo dei pagani. Per questo si fa precedere da questa esposizione sistematica della sua dottrina sulla giustificazione e sulla vita in Cristo e nello Spirito, che ha già avuto occasione di esporre in modo più sintetico e polemico nella lettera ai Galati. La lettera ai Romani sembra inviata da Corinto, dove Paolo è per la colletta, verso il 58 d.C. Di lì si porterà a Gerusalemme, per poi passare appun to a Roma. Dalla prigionia romana (61-63 d.C.) Paolo invia un biglietto a Filemone, ricco proprietario che si è fatto cristiano, al quale rimanda un suo antico schiavo, Onèsimo, che egli ha convertito in prigionia. L'apostolo invita il padrone a trattarlo "come un fratello carissimo" e "come se stesso"
(Fm 16-17). Seppure senza condannare direttamente l'istituto della schiavitù, Paolo ne cambia l'anima: lo schiavo non è più una cosa, è un fratello. Le lettere che seguono, più che opera di Paolo, negli studi più recenti vengono considerate testimonianza della fecondità della tradizione paolina: ispirate alla dottrina e alla prassi ecclesiale dell'apostolo, ne prolungano l'insegnamento nelle situazioni nuove, legate all'evolversi della istituzione ecclesiale, al sorgere di deviazioni dottrinali e pratiche, alle esigenze di consolidare il patrimonio di fede ricevuto. A Colossi la comunità è scossa da una dottrina d'origine ebraica e pagana. Contro teorie che esaltano il ruolo di misteriose potenze celesti, la lettera ai Colossesi propone una riflessione approfondita sulla persona e sul ruolo di Cristo, "capo" della Chiesa e dell'intero creato. La lettera agli Efesini riprende e amplifica il contenuto della lettera ai Colossesi, utilizzando temi presenti nelle lettere di cui siamo certi che sono state scritte da Paolo. Ne vien fuori una nuova sintesi del pensiero paolino, centrata su Cristo e sulla Chiesa e interessata a mostrare l'impegno dei cristiani all'interno della comunità ecclesiale, della famiglia e della società. 1 e 2 Timoteo e Tito vengono chiamate "lettere pastorali", in quanto hanno di mira il governo della comunità ecclesiale. Queste lettere riflettono una situazione ecclesiale più sviluppata, che le caratterizza pertanto con ancor più evidenza come opera della tradizione paolina. Esse si preoccupano di dare direttive sulla organizzazione delle comunità locali e sulla lotta contro i falsi maestri che sconvolgono la loro fede. Da ciò l'impegno a "custodire" il deposito della fede, la sana dottrina, e a formare degni ministri. L'invio di queste lettere a Tito e a Timoteo, discepoli diretti e preziosi di Paolo, intende dare prestigio all'insegnamento che propongono. In
2 Tm 4,6-8 è tracciato, in modo personalizzato e commovente, il "testamento spirituale" dell'apostolo.